Storia Di San Paolo
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San Paolo Apostolo

Meditazioni dettate dal Vescovo Ausiliare Mons. Giuseppe Costanzo durante il triduo di preparazione alla festa del Santo nell’anno 1978.

  • Premesse
  • Alcuni dati biografici
  • L’uomo
  • L’apostolo
  • Il Santo

  • Premesse

    Dopo che a Gesù Cristo, colui a cui il cristianesimo deve di più è San Paolo, sia per il pensiero, sia per la vita.
    La chiesa di Roma lo porrà sempre a fianco di Pietro e tutte le generazioni cristiane berranno nelle sue lettere le acque più profonde della fede e della carità.
    S. Giovanni Crisodtomo dirà che non deve la sua scienza al suo talento, ma al suo amore per l’Apostolo Paolo e alla costanza con cui legge settimanalmente le 14 lettere. E’ un fatto che chiunque si pone a contatto con Paolo lo stima, gli porta un grande affetto e si fa suo discepolo.

    Per conoscere San Paolo bisogna studiare gli Atti degli apostoli, scritto da San Luca, suo compagno, circa il 60 – 63 d.C. Quasi tutto il libro tratta dalla conversione e dei viaggi missionari dell’Apostolo. Luca, che in questo libro intende raccontare le origini del cristianesimo, ha creduto che il ruolo più importante, dopo l’ascensione di Gesù, toccasse a Paolo. Le lettere contengono notizie autobiografiche importantissime per conoscere, soprattutto, l’intimo di Paolo.

    Alcuni dati biografici

    Paolo nasce a Tarso di Cilicia, con diritto di cittadinanza romana, agli inizi dell’era cristiana, da famiglia giudaica. I giudei sono suoi fratelli secondo la carne. A lui, più che a chiunque altro, spettano tutte le glorie giudaiche. Come circonciso, appartiene alla famiglia di Abramo; entro questa famiglia appartiene alla razza d’Israele; entro questa razza è oriundo della tribù di Beniamino. Nella circoncisione gli mettono il nome Saulo, il “desiderato”, e forse anche quello di Paolo. L’uso dei due nomi era frequente presso i giudei. Partendo da Atti 13,9 è sempre chiamato Paolo, forse a ricordo del proconsole Paolo, che lui convertì.
    La prima formazione gli viene impartita a Tarso ove i suoi parenti , probabilmente Galilei, erano emigrati. Tarso era una città di grande cultura greca. Paolo parlerà e scriverà il greco come lingua propria. Solo Luca lo supera in ricchezza di vocabolario, fra tutti gli scrittori del N.T. Il suo greco è quello comune del popolo, come provano i papiri: Tuttavia la formazione principale di Paolo fu eminentemente giudaica.

    Verso i 13 – 14 anni dovette trasferirsi a Gerusalemme. Presso il rabbino Gamaliele imparò la legge e la sua esegesi. Il lavoro manuale di tessitore lo dovette invece apprendere a Tarso. Entrò nel partito dei farisei e, forse era scriba e membro del sinedrio, perché dà anche lui il suo voto contro i cristiani. Come fervente è convinto fariseo, prese molto sul serio la distruzione del nascente cristianesimo e parte attiva nella morte di Stefano.
    Tra il tempo dei suoi studi a Gerusalemme e l’inizio della sua attività pubblica contro i cristiani, ci deve essere stata un’assenza da Gerusalemme, che coinciderebbe col ministero del Signore. Benché non ci siano prove decisive, si deve negare che Paolo abbia conosciuto personalmente Gesù. Non allude mai alla sua personale conoscenza storica. Se lo avesse conosciuto, sarebbe stato suo avversario e persecutore e lo avrebbe detto nelle sue lettere. Quando parla della sua conoscenza, parla solo del Gesù glorioso e risorto, di cui è testimone verace.

    La conversione avvenne sulla via di Damasco. Psicologicamente si spiega solo con un miracolo. Questo è il pensiero del libro degli Atti e dello stesso Paolo, quando vi allude. In 1 Cor. 15,8 si chiama “abortivo”, cioè fuori di ogni regola e in Fil. 3,12 dichiara di essere stato “afferrato da Cristo”. Il cambiamento così radicale di Paolo e la sua costanza, l’equilibrio psicologico, la sua forza e chiaroveggenza logica escludono l’allucinazione. Dopo la morte e resurrezione di Cristo, la conversione di Paolo è il fatto più decisivo nella storia del cristianesimo. Dopo il suo battesimo rimane alcuni giorni a Damasco; poi si reca in Arabia e di là ritorna a Damasco per predicare il vangelo che poco prima aveva combattuto. I giudei si rivoltano contro di lui e da allora in poi saranno suoi nemici forti e tenaci. Per sfuggire alla loro ira, deve scappare di notte, calandosi da un muro. Sono passati tre anni dalla sua conversione quando si presenta a Gerusalemme, tra la diffidenza generale di tutti i cristiani. Parla con Pietro e Giacomo il minore, ma non si fa conoscere fuori dalla città. Come già a Damasco, anche a Gerusalemme la sua predicazione suscita l’ira dei Giudei e Dio gli comunica di ritirarsi perché lo ha scelto per predicare ai pagani. I cristiani lo accompagnano fino al porto di Cesarea, donde parte per la Siria e poi per la Cilicia. E’ cristiano solo da tre anni ed ha già dovuto fuggire da Damasco e da Gerusalemme per non farsi uccidere dai Giudei. Resta alcuni anni a Tarso (39-43), poi passa ad Antiochia dietro invito di Barnaba. Verso il 44 Barnaba e Paolo vanno a Gerusalemme a portarvi la colletta della comunità di Antiochia. A Gerusalemme si fermano poco, prendono con loro Giovanni detto Marco e tornano ad Antiochia per iniziare il primo viaggio apostolico.

    L’uomo

    Paolo distingue in sé l’uomo dalla grazia. In quanto uomo qualifica se stesso come un “vaso d’argilla”. Noi però possiamo dire che, anche come vaso, è stato uno dei più forti e migliori che siano esistiti nella storia. Entra nella categoria dei geni. E’ nato per andare in prima linea, aprendo la marcia e comandando. Supera i suoi compagni nel giudaismo e gli altri apostoli nel cristianesimo. Non dice mai basta nelle sue conquiste: “Dimentico del passato e proteso verso il futuro, corre verso la meta” (Fil. 3,13). Porta in se la forza della tempesta, “segno di contraddizione”. Quello che vive, lo vive intensamente. “Mi logorerò, mi consumerò”.

    Nel corpo

    Paolo non fu un Apollo. Egli stesso lo ammette. Non nasconde le sue debolezze fisiche. Ma straripava “grazia ed attrattiva”. “Talvolta sembrava un uomo, altre volte si mostrava come un angelo” (Atti di Paolo Tecla) A Listra vollero adorarlo, perché lo confusero con Mercurio.
    Sulla sua salute e malattie sono state scritte molte fantasie. Non sono provate nè la malaria né l’oftalmia. Si può spiegare sufficientemente (Cor. 12, 7-9) con la debolezza umana in generale, sensibile alle persecuzioni ed ai tormenti fisici. Il suo sistema nervoso dovette essere forte e ben temprato per sopportare tanta lotta morale, conservando tanto coraggio e tanto vigore mentale.
    Benché l’energia dello spirito si imponesse al corpo, questo dovette essere forte per affrontare tanti viaggi a piedi, con pericoli di ladroni, dei giudei, dei gentili, dei falsi fratelli: pericoli nella città, nel deserto, nel mare… con veglie, fame e sete, digiuni, freddo e nudità. Cinque volte flagellato, secondo la legge giudaica, tre volte con le verghe dai Romani. Una volta lapidato. Tre naufragi. Una notte e un giorno in mezzo al mare su di una tavola.

    L’intelligenza

    L’intelligenza è un dono che nessuno contesta a Paolo. E’ un talento creativo. Ma non lo si può chiamare “creatore del cristianesimo”. Egli stesso pone la sua gloria nell’essere “imitatore di Cristo”, nel “custodire i suoi insegnamenti”. E’ stato innalzato fino al settimo cielo e si è trasformato in un contemplativo, ma conserva la forza logica e raziocinante propria dei greci. Contemplativo, come i profeti; logico come i filosofi; è un talento pratico e di governo, che scende fino ai minimi particolari nell’organizzazione delle chiese e moralista, mistico ed asceta che edifica su pietra solida, sul dogma e sulla fede, sull’unico fondamento che esiste: su Cristo. Ama i paradossi e l’ironia. La difficoltà maggiore per capire le sue lettere proviene dalla pienezza delle idee, che non possono essere coartate nelle forme anguste della grammatica, del vocabolario e dello stile. E’ un torrente di idee e di effetti che rompe i vecchi alvei e si apre i suoi su misura.

    La volontà

    Ha una volontà forte e un carattere pugnace. Ha gli impeti e gli ardori del sole d’Oriente e la forza, la fermezza e la costanza del freddo dell’Occidente. Nasce per comandare e abbattere barriere, per la lotta dell’esploratore e dell’atleta sempre in tensione. L’immagine del corridore lo entusiasma, come pure quella del soldato in veglia d’armi, perché rispondono al suo temperamento battagliero. Lo sforzo, la lotta, la veglia, l’astensione sono caratteristiche della sua spiritualità. Quelli che lottano si astengono da tutto. Flagella e castiga il suo corpo, come il cavaliere sprona il cavallo affinché corra. E’ un lavoratore infaticabile.
    Fu un uomo di grande cuore. Grande come il mare, fino a rompere i confini della sua nazione e abbracciare tutti gli uomini come “uno solo in Cristo”. Per lui non v è ne giudeo né gentile, né barbaro né greco, né uomo né donna. Tutti sono uno solo. La sua sensibilità è squisita. Giunge a far da padre e da madre. Con i filippesi si strugge in sentimenti di gratitudine e per la malattia dell’amico soffre come se fosse sua.
    Non è prodigo d’immagini, perché l’abbondanza d’idee non glielo permette. Ma la sua immaginazione è aperta all’agricoltura, all’architettura, alla guerra e ai giochi. Prevalgono le immagini della lotta e dello sforzo, più consone al suo temperamento combattivo e al mondo in cui ha vissuto: Tarso, città di grande cultura e Gerusalemme, capitale della sua nazione.

    L’Apostolo

    Nel linguaggio cristiano, “L’apostolo” senza altra aggiunta, designa Paolo, benché ve ne siano stati altri dodici prima di lui. Perché ? Due motivi fondamentali vi sono per questa quasi monopolizzazione dell’apostolato da parte di Paolo.

    1. Egli è apostolo che i primi, ma forse nessuno dei dodici ebbe così profonda coscienza della sua elezione a predicare il vangelo di Cristo come l’ebbe Paolo. Cfr. le sue lettere: si presenta Apostolo, difende il suo titolo e la sua missione, fondata sul fatto della sua elezione e sul fatto di aver visto il Signore come i primi discepoli. Come apparve ai primi dopo la resurrezione, così è apparso a lui dopo l’ascensione.
    2. Ma il motivo che più ha inciso sulla storia perché fosse chiamato l’Apostolo per antonomasia è quello che fornisce egli stesso: ha lavorato più degli altri. Lo sforzo apostolico di Paolo è enorme. Come evangelizzatore sempre in viaggio, come oratore, come scrittore.


        1. – I viaggi –Basterebbe anche solo il tragitto materiale dell’apostolato di Paolo per considerarlo come l’Apostolo. Holzner ha contato i chilometri dei suoi tre viaggi compiuti nell’Asia minore: 1000 Km. Nel primo viaggio missionario; 1926 Km. Nel secondo; 1700 nel terzo. 4626 Km. Solo nell’Asia minore. Si aggiungono i viaggi in terra d’Europa e per mare, le strade difficili, le differenze di altitudine, l’aumento in distanza delle strade o vie selciate nei confronti dell’attuale ferrovia e si capirà l’indicibile ammirazione che Deissmann sentiva di fronte allo sforzo puramente fisico del viaggiatore Paolo, che pienamente a ragione poteva dire che flagellava il suo corpo e lo domava come uno schiavo. San Paolo ha fatto ogni giorno una media di 35 Km. E spesso a piedi.
          San Paolo venne a Roma, perché si è appellato a Cesare. Col viaggio a Roma si compie uno dei suoi vecchi desideri. La navigazione fu molto fortunosa. Deve svernare tre mesi a Malta, approda a Siracusa, giunge a Roma nella primavera del 61 dopo vari mesi di viaggio.

        2. – Oratore – L’oratoria per San Paolo fu mezzo di apostolato. Tuttavia non se ne vanta, perché non cerca “la parola sublime e sapiente”, ma la sapienza di “Cristo Crocifisso”. Paolo ha l’anima del grande oratore. A Listra lo scambiano per il dio Mercurio, “poiché era lui a tenere il discorso”. Agrippa II° riconosce la sua forza persuasiva: “Per poco non mi persuadi ad essere cristiano”. A triade, durante la frazione del pane, “prolungò il discorso fino a mezzanotte”. L’aria della sala era molto pesante per i numerosi lumi che vi erano accesi e per la gente. Così il giovanetto Eutico si addormentò profondamente, anche perché Paolo “allungava il discorso”, “cadde dal terzo piano e venne raccolto morto”. Paolo lo resuscitò e continuò a parlare fino all’alba (Atti 20).
          L’abbondanza di idee e di sentimenti si univa alla facilità di parola e sentiva il dovere e il bisogno di predicare: “Guai a me se non evangelizzo !”. Possiede due lingue come proprie: il greco e l’aramaico. L’esordio del discorso nell’Arcopago è un modello di retorica.
          La predicazione di Paolo fu generalmente familiare. Parla nella sinagoga e nelle case private con un lavoro di conquista lenta fra eguali ed amici. A Corinto lavora come fabbricante di tende e, per un anno e mezzo, “insegna la parola di Dio”.
          Nelle lettere, Paolo Parla. Per questo è consigliabile leggerle a voce alta. Molti paragrafi sono di oratore autentico. Si legga 1Cor. 15. Non vi è nulla di più splendido del trionfo di Cristo nei suoi seguaci. “Dov’è, o morte, la tua vittoria ? Dov’è, o morte il tuo pungiglione ?”. “Fratelli, rimanete saldi …. Sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore”. La personificazione della morte, del peccato, della carne come potenza; le apostrofi con cui si dirige ai suoi lettori: “O Galati, insensati”, mostrano l’oratore, che potrebbe gloriarsi per quanto è umano, ma ciò “non giova a nulla”. Importante è lavorare, donare, testimoniare: con fedeltà e coraggio, con coerenza e perseveranza.

        3. – Scrittore – Paolo sopravvisse alle sue 14 lettere. I cristiani cominciarono a venerarle quand’era ancora in vita lo stesso Apostolo. Le lettere, nell’ordine cronologico con cui furono scritte, sono:

        1. - La prima e seconda ai Tessalonicesi (51 – 52) (Corinto)
        2. - La lettera ai Galati (54) (Efeso)
        3. - La prima ai Corinzi (56) (Efeso)
        4. - La seconda ai Corinzi (57) (Filippi)
        5. - La lettera ai Romani (57 – 58) (Corinto)
        6. - Efesini, Colossesi, Filemone, Filippesi (61 – 63) (I^ prigionia romana)
        7. - I^ Timoteo (65) (Macedonia)
        8. - A Tito (65) ( a Nicopoli)
        9. - II^ Timoteo (66 – 67) (seconda prigionia romana)
        10. - Lettera agli Ebrei

        Ricchezza teologica, ascetica, morale. Nutrirsene. Meditarle. Penetrare il mistero di Cristo e della chiesa.
        Tre tipi di lettura di San Paolo ( o tre tappe):
        1. Lettura continua e rapida.
        2. Lettura lenta e metodica, badando alla divisione logica, all’idea dominante.
        3. Lettura esegetica, consultando note e commenti.


        Tutto questo servirà ad approfondire di più il pensiero paolino.
        Le disposizioni richieste per leggere con frutto:
        1. Spirito di fede.
        2. Spirito di umiltà.
        3. Cercare il pensiero di Paolo onestamente, deponendo le nostre idee preconcette.

          Il Santo

          Il fatto della santità di Paolo si impone a quanti conoscono la sua vita.
          Innanzitutto vediamo i principi direttivi: nell’anima di ogni santo vi sono come leve di comando o fonti della sua energia spirituale, principi e critere di vita santa. Ci interessano molto quelli di Paolo.

        4. Nella sua vita di cristiano conservò sempre quello che aveva imparato nella vita di fariseo: l’idea del Dio unico, creatore e salvatore del suo popolo. Paolo, come giudeo e come cristiano, è un servo fedele di Jahweh. Ha mutato la forma di servizio ma l’idea di dedizione come creatura scelta da Jahweh perdura e influisce sulla sua vita. Ha sempre come testimone e padrone della sua vita “Dio, al quale servo con il mio spirito, nel vangelo del Figlio suo”. L’idea su Dio si è andata sempre più chiarendo nella sua anima. Paolo capisce che Dio ha un figlio, che ama e nel quale ci ama. Per questo Paolo ha riversato tutto il suo impeto di servo di Jahweh, in Cristo. Come cristiano è il “servo” di Gesù Cristo. Ora Cristo è tutto per lui: la sua vita, il suo Signore, il suo modello, il suo giudice, il suo mondo, il suo regno, la sua promessa, la sua gloria eterna. Paolo è pieno di Cristo. E’ pieno della sua grandezza, del suo sacrificio, del suo amore: “Mi amò – esclama commosso – e si offerse per me” (Gal. 2,20). L’amore di Dio lo stimola, non gli dà pace. Sa che Dio e Cristo lo hanno guardato ab aeterno, lo hanno scelto, lo hanno chiamato, gli hanno affidato il vangelo. Questa idea della vocazione è capitale nella vita di Paolo. Di qui la sua “fedeltà”, “la sua dedizione”. Questo aspetto si riassume nella risposta alla chiamata di Damasco: “Signore, che vuoi che io faccia ?”, che segna la norma di tutta la sua vita.

        5. Paolo vive nel cielo, benché calpesti la terra. La sua cittadinanza è quella del cielo, egli è pellegrino della città eterna. Le verità eterne: la morte, il giudizio, la condanna, la resurrezione e la salvezza hanno nella vita ascetica di Paolo una incidenza profonda ed essenziale. Paolo ha il senso dell’eterno. Il tempo è via all’eternità, è breve. Vive nell’attesa “del giorni di Cristo”. Per lui il cielo significa “essere sempre con il signore”, l’inferno è la definitiva separazione dal Signore.

        6. Pieno di Cristo, della sua gloria ed eternità, Paolo è un uomo di speranza. E’ notevole la forza che esercita su di lui la stella sempre luminosa della gloria. Se non dobbiamo risuscitare – dice – siamo i più disgraziati degli uomini. Siccome dobbiamo risuscitare, “la nostra fatica non è vana nel Signore”.

        7. Insomma le idee che guidano il pensiero e la vita di Paolo si concretano nelle tre virtù della fede, dell’amore e della speranza in Cristo. La santità della sua vita non è altro che la logica vissuta di questo entusiasmo per Cristo. E’ il pazzo di Cristo, il pazzo della croce, il pazzo dell’eternità e dell’apostolato, poiché porta fino alle ultime conseguenze la sua fede e il suo amore per Cristo. Nei momenti più duri egli dice: “So a chi ho dato fiducia”.


        8. Principali caratteristiche della santità di Paolo

          1. E’ una santità essenzialmente cristologia: si appoggia su Cristo, vive in Cristo, ha fiducia in Cristo e ha per oggetto quello di conquistare Cristo, di corrispondere alla misura di Cristo, “Per me vivere è Cristo e morire un guadagno”, “Tutto è a perdita di fronte al vantaggio di conoscere Cristo, il mio Signore”.
          2. E’ una santità apostolica. La vita non ha altro senso per lui. Preferisce morire per essere con Cristo, ma vivere è necessario per i fedeli: “Sono spinto da opposti desideri: da una parte desidero lasciare questa vita per essere con Cristo, e ciò sarebbe certamente per me la cosa migliore! ; dall’altra, è molto più utile per voi che io continui a vivere” (Fil. 1,23-24).
          3. Santità di lotta e di rinuncia, di pena e di tirocinio. La vita è una strada, una corsa dietro Cristo. Si fonda sulla speranza ottimistica e sull’umiltà. E’ lieta e umile. Totalmente sottomessa al valore di Dio: “Sia per attaccare, sia per difendermi ho una sola arma: vivere come piace a Dio. Qualcuno mi stima, altri mi disprezzano. Taluni dicono bene di me, altri male. Sono considerato un imbroglione, e invece dico la verità. Sono trattato come un estraneo, e invece sono ben conosciuto; come un moribondo, e invece sono ben vivo. Sono castigato, ma non ucciso; tormentato, ma sempre sereno; povero, eppure arricchisco molti. Non ho nulla, eppure possiedo tutto “(2 Cor. 6,7-10). “Ho imparato a bastare a me stesso in ogni situazione. So essere povero, so essere ricco. Ho imparato a vivere in qualsiasi situazione: ad essere sazio e ad aver fame, a trovarmi nell’abbondanza e a sopportare la miseria. Posso far fronte a tutte le difficoltà, perché Cristo me ne da la forza” (Filipp. 4, 11-13).
          4. L’umiltà di Paolo balza evidente all’attenzione. Si definisce un “aborto”, “il primo dei peccatori”, “ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede”. In questo sentimento della propria insufficienza si basa la sua tesi della fede superiore alle opere e il suo amore alla preghiera. La santità di Paolo è quella delle anime grandi e nobili. La sua limpidezza di scopi, la sua purezza di intenzione, di fronte a quelli che temono gli uomini o cercano di compiacerli, è notevole. Egli cerca solo di piacere a Cristo: se cercasse di piacere a Cristo: se cercasse di piacere agli uomini, non sarebbe servo di Cristo. Sa che per lui gli tocca di soffrire: “gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome”. “A noi è stata data questa grazia: non solo di credere in Cristo, ma di soffrire per lui”.


          Nel suo cuore non entra la gelosia o l’invidia: quello che importa è che Cristo sia predicato.

          Una massima del Signore Gesù che lo entusiasma e che egli solo ci ha conservato: “E’ meglio dare che ricevere”.

          La norma che tutto sintetizza: “La grazie di Dio in me non fu vana”. Cioè: vivere nell’amore come Cristo ci amò.

    Web Master Mario Pappalardo